Nell’ottobre del 2006 Time pubblicò in copertina il primissimo piano di un politico americano emergente. Senatore di nuova esperienza, un avvocato eletto nell’Illinois, carico dell’esperienza da assistente sociale e di frequentazioni assidue nella chiesa evangelica. A contatto strettissimo con i cittadini di Chicago, toccato e ascoltato durante gli incontri pubblici, riconosciuto dai poveri nei quartieri, ma dall’aria intellettuale vagamente east coast. Un tipo decisamente nuovo rispetto ai politici alla ribalta sulla scena americana, almeno per la singolare biografia. Madre e padre non sposati, lei del Kansas lui keniota, nato alle Hawaii, infanzia in Indonesia, laurea ad Harvard, una vita costruita per scelta a Chicago, il lavoro come specializzato in diritti civili in un piccolo studio legale. Eppure Time buttava lì: “Ecco perchè Barak Obama può essere il prossimo presidente”. La maggior parte degli americani non sapeva neppure chi fosse.
Chissà se quelli di Time ci credessero davvero. Due anni fa John McCain era già un senatore conosciuto e rispettato, già in precedenza attraversato dalle tentazioni presidenziali. In linea con Bush, ma anche no. Sì alla guerra in Iraq, ma no alle politiche sugli immigrati per dirne una. Maverick, uno che va un po’ da sé, lo chiamavano così, forse anche perché il suo Arizona suggerisce sapori da frontiera del west. Poi ultimamente è andata in modo diverso, la complessità dell’elettorato del Grand Old Party ha suggerito a McCain di rispolverare una linea conservatrice più ortodossa, un po’ di vena prolife è più timidezza sulle unioni gay, addirittura una candidata vice con fucile in mano e religiosità militante. Obama nei mesi si è fatto conoscere e si è candidato, ha vinto le primarie cominciando a sorpresa dall’Iowa, ha coinvolto persone come mai si erano viste, ha spostato la convention Democrats addirittura in uno stadio di football da novantamila posti. È diventato una specie di rockstar planetaria, ha pure trovato due giorni di tempo in campagna elettorale per salutare ad Honolulu la nonna morente.
E ora si vota. Insomma sì, sembra incredibile, ma questo Obama è arrivato a giocarsela. Una decina di anni fa non riuscì neppure a farsi accreditare per partecipare alla convention democratica. McCain ci prova fino alla fine, gira sei stati in un giorno, alza le braccia quel tanto che può per scaldare la folla e pigliarsi gli ultimi voti. Ha 72 anni, ma una forza incredibile. Riconoscerà pure lui di essersi trovato a competere in un momento sfortunato. Un nero alla Casa Bianca, proprio ora che i suprematisti bianchi orfani del KKK si riorganizzano nel sud. McCain corre contro la storia che si compie, una cosa che si era vista solo nei film con Morgan Freeman e nei telefilm con Kiefer Sutherland. Ed un Paese che prova a chiudere il cerchio con la naturalezza di un evento che ormai è tanto epocale quanto atteso. La mia idea (o il mio pronostico) è che Obama vincerà, ma non stravincerà: secondo me prende tra i 270 e i 290 grandi elettori, ma fa lo stesso.
Basta a cambiare le cose. Domani potrebbe essere davvero un altro giorno.
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