martedì 25 agosto 2009

Pd, Bersani: "Niente tasse per dieci anni a chi investe su lavoro"


«Il Pd non può fare il suo primo congresso senza l’ambizione di indicare un nuovo corso della vicenda politica e sociale italiana. Non possiamo parlare solo di noi. Chi vince dovrà parlare dell’Italia. È preziosa la riflessione di Prodi, che vede le forze progressiste ferme sulle gambe, appesantite dal conservatorismo e dalla perdita di una visione autonoma. Prodi ci offre uno spazio di correzione e di ripensamento: riflettere su com’è andata, e presentarci agli italiani con idee nuove».

Questo l'inizio dell'intervista di Aldo Cazzullo a Pier Luigi Bersani, candidato alla segreteria del Partito Democratico, pubblicata dal Corriere della Sera.

Bersani, su quali idee imposterà la sua campagna?

«Su tre grandi questioni. L’Italia: si tratta di vedere come, tra il globale e il locale, decidiamo di essere italiani. L’economia: aumento dei redditi ed economia verde devono essere il nostro New Deal. La politica: siamo all’imbrunire di un ciclo; c’è da immaginare uno scenario nuovo».

La disunità d’Italia è al centro della discussione pubblica

«Sì, e condivido l’analisi di Galli della Loggia. Siamo di fronte a una frattura nuova. Al tempo delle gabbie salariali, dentro c’era un po’ di Calabria e un po’ di Rovigo. Poi si è affermato il monopolio del divario Nord-Sud. Ora la politica, invece di interpretare la correzione del divario, si predispone ad interpretarne il divario. Non pensa più di poterlo ridurre. È rassegnata. Immagina leghe territoriali. Usa parole vacue come agenzia, cassa. Ma un grande partito nazionale e federale non si limita a difendere l’unità; vuole costruirla»

In che modo?

«Progettando una reciprocità tra Nord e Sud. Imprimendo una svolta sociale e liberale alla questione, un po’ nella direzione che ha indicato Panebianco. Se noi attacchiamo tutte le intermediazioni amministrative, diamo una risposta alla rabbia del Nord e alla sudditanza del Sud. Sbaracchiamo tutti gli incentivi mediati al sistema economico. Introduciamo per dieci anni un credito d’imposta stabile e automatico: via le tasse su tutti gli investimenti per l’occupazione»

Una no tax area grande come l’Italia?

«Una no tax area per nuovi investimenti, a cominciare dal Sud. Stabilita automaticamente, senza intermediazioni. E poi far partire infrastrutture che aggancino l’Italia al Mediterraneo. Premiare i migliori standard di servizio: i soldi li prende chi migliora la vita di pensionati, malati, studenti perché dove stanno bene i cittadini stanno bene le imprese. Programmare una riscossa civica, non moralistica»

Un’altra questione morale?

«Una questione concreta. Si è molto abbassata l’asticella nei comportamenti civici collettivi. L’istinto familistico, corporativo, localista, insomma le reti corte che da sempre sono nostra croce e delizia, nella globalizzazione hanno preso una curvatura difensiva. Usiamo allora gli strumenti della sfida europea. Facciamo una Maastricht dei costi della politica: stabiliamo la media di quanto costa la politica nei paesi europei, e mettiamoci lì. Facciamo una Maastricht della fedeltà fiscale, e decidiamo che ogni punto di fedeltà fiscale viene riversato sulle categorie che lo garantiscono, con riduzione di aliquote e miglioramenti di welfare. Portiamo il merito dal cielo alla terra, con meccanismi di valutazione esterna per ogni funzione. Facciamo un “piano industriale” per far funzionare la giustizia civile. Parlo, insomma, di un patto civico di solidarietà e reciprocità da proporre al Paese»

Come vede la situazione economica?

«È inutile edulcorarla: i prossimi mesi saranno drammatici per molti: siamo nel pieno della crisi. Da qui al 2010 rischiamo di perdere un milione di posti di lavoro. Serve un pacchetto anticrisi vero, che sostenga i redditi e sblocchi le infrastrutture locali, quelle che si fanno in sei mesi, dalle rotonde alla manutenzione straordinaria delle scuole. Non possiamo aspettare il Ponte sullo Stretto»

Ma neppure i pacchetti anticrisi fin qui hanno avuto un impatto significativo

«È vero: perdiamo 6 punti di Pil; a colpi di 0,5%, ci metteremmo 12 anni a tornare ai livelli precedenti. Dobbiamo mettere il turbo da qualche parte, per rimontare in modo rapido»

Da quale parte?

«Il nostro New Deal sarà l’economia verde e una nuova politica dei redditi. Proporrò un piano per l’efficienza energetica per i prossimi 5 anni, mobilitando un enorme bacino tra risposta privata e iniziativa pubblica. E si dovrà attaccare la cattiva distribuzione dei redditi, rafforzando quelli medio-bassi, per rianimare i consumi»

La no tax area dovrebbe valere anche per gli aumenti contrattuali?

«Sì. Penso a interventi che dovrebbero favorire la contrattazione decentrata. Ma non basta. Penso a misure fiscali, al cuneo contributivo, ai prezzi sensibili. E a un salario minimo, da inserire se possibile per via contrattuale, eventualmente con una sponda normativa. Così come dobbiamo unificare i percorsi di accesso al lavoro»

Lei espone un programma di governo. Ma al governo c’è Berlusconi

«Io ritengo che chi si candida alla guida del più grande partito d’opposizione debba fare la sua proposta al paese. A novembre saranno vent’anni dall’89, quando crollò pure il Muro che avevamo in casa, lasciando un vuoto. Quel vuoto fu colmato nel segno dell’antipolitica. Berlusconi ha saputo unificare tutte le forze del centrodestra, dando al modello di consenso una curvatura populista di tipo nuovo: più che usare il consenso per fare governo, ha usato il governo per fare consenso. Gli italiani gli hanno consentito di fare quel che ha voluto, nel pubblico, nel privato e nei rapporti tra pubblico e privato: ma agli italiani cosa ne è venuto? Più riforme? Meno tasse? Più crescita? Nulla di tutto questo. Se lo si chiede a lui, risponde che ha fermato i comunisti. Una risposta un po’ onirica»

Non esageri. La riforma del mercato del lavoro è stata fatta

«Con un’intensità non superiore alla riforma Treu. Può darsi che io esageri; ma non si può dire che, nella decina d’anni in cui Berlusconi è stato al governo, l’Italia sia cambiata. E lo stesso vale per la Lega. Al netto delle ronde, che cosa ha inventato la Lega per le politiche locali? Solo ideologia; non le aree artigianali, gli asili nido, l’urbanistica, i servizi sociosanitari. Ma il punto non è essere più o meno antiberlusconiani. L’opposizione non la si valuta a seconda se grida più o meno forte, ma se prepara un’alternativa. Se tocca a me, la butto di lì»

C’è qualcosa che non funziona, in questo meccanismo per cui si vota prima al congresso e poi alle primarie? Complicato da sondaggi che danno in testa ora lei, ora Franceschini?

«Non mi occupo di questi sondaggi. Quando giro, sento una buona aria. Pare che ci stiamo occupando solo di beghe interne; ma qual è il partito in Europa che fa un congresso aperto come il nostro? Certo, qualche correzione allo statuto è necessaria. Ma non credo che esista una distinzione antropologica tra iscritti ed elettori, e non credo che le due votazioni avranno esito diverso. Serve un partito organizzato, con una sua posizione, una sua presenza fisica, con coscienza delle proprie antichissime radici popolari».

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